Sgomberi, sfratti e detenzioni – Le cangianti armi della repressione

Ieri mattina a Genova, consolidando una consuetudine di questi tempi, Carabinieri, Vigili Urbani e A.R.T.E. si sono presentati alla porta di una delle tante occupazioni abitative in centro storico. Dopo fugaci controlli, l’arrivo di alcuni solidali e qualche blanda minaccia se ne sono andati senza produrre molti altri fastidi oltre all’ennesima testimonianza della loro stessa esistenza.
Qualche settimana fa, invece, sempre nel centro storico, durante un’operazione di sgombero di un appartamento occupato, i tutori dell’ordine e della proprietà hanno deciso di farsi accompagnare da un’ambulanza e dal conseguente monito di TSO nei confronti della persona che al momento si trovava dentro, nel caso avesse resistito, dato in escandescenze o semplicemente protestato più vivacemente del democraticamente consentito.
Su sgomberi e sfratti nello specifico l’attuale contro-informazione è già ricca di ampi ed eterogenei contributi; proponiamo, quindi, un testo scritto qualche anno fa in seguito ad un episodio di fuga da un reparto psichiatrico cittadino.

Non perdiamo occasione per rinnovare la nostra solidarietà a chi quotidianamente combatte contro questo sistema infame e, in particolare, agli arrestati ed indagati a Torino per la lotta contro gli sfratti.

Il TSO (Trattamento Sanitario Obbligatorio) è una forma di coercizione arbitraria che viene decisa da un personale medico e siglata dal sindaco della città. Ha valore legale. Una persona che subisce un TSO deve rimanere, se questo non viene revocato prima, ricoverata 7 giorni (rinnovabili fino a 30) nel reparto psichiatrico dell’ospedale più vicino al luogo in cui viene prelevata. Terminati i giorni previsti dalla legge la persona viene rilasciata o la permanenza in ospedale viene prolungata trasformandosi in TSV (Trattamento Sanitario Volontario). Come dice il nome stesso questo tipo di intervento dovrebbe essere vincolato alla volontà del “paziente”, di fatto, sebbene da un punto di vista legislativo lascia aperti più spiragli dai quali poterne uscire, si tratta ancora una volta di una decisione arbitraria del primario di reparto che si riserva di trattenere la persona fino a tempo indeterminato in attesa di verificare gli effetti della terapia.

Inutile dire che durante tutto questo periodo di detenzione si è costretti ad ingoiare farmaci di ogni tipo senza essere informati su quello che sono, ci si deve attenere ad orari ripetitivi, nessuno se non gli altri reclusi parla con te su un livello paritario, nel migliore dei casi si è costretti a sostenere colloqui con persone con le quali non si desidera avere alcun tipo di rapporto, ogni forma singolare di manifestarsi o ogni tipo di opposizione vengono punite.
Chiunque terminata questa esperienza, quando ritrova la luce del sole si ritrova devastato, privo di forze fisiche e psicologiche, prosciugato di tutto, senza neanche probabilmente ricordarsi perché è finito lì dentro.
Il rilascio viene garantito solo previo consenso a proseguire la terapia farmacologica presso gli ambulatori e minaccia di TSO se questo non verrà rispettato. Questo basta per dire che senza accortezza è molto facile, una volta entrati nelle briglie della psichiatria, non uscirne mai più e, pertanto, avere la propria vita rovinata.

Perché mai si dovrebbe subire un TSO? Volutamente abbiamo voluto tralasciare questa parte perché non intendiamo cadere, come accade per la medicina mentale, nella categorizzazione ed etichettatura dei comportamenti umani. Ci limitiamo a dire che per propria esplicita dottrina la psichiatria interviene laddove i comportamenti e i modi di esprimersi non sono allineabili o assorbibili da quelli considerati “normali”, insomma quelli dominanti.

La psichiatria, da sempre, è uno strumento di controllo sociale a servizio del regime, democratico, fascista, comunista che sia.
Si può dire che se il carcere reprime la dissidenza quando si concretizza sotto forma di pensiero ed azione, la psichiatria reprime la dissidenza delle emozioni e del loro diverso manifestarsi.
Ma, se da un lato si potesse senza grande possibilità di sbagliarsi dire che viviamo in un vero e proprio carcere a cielo aperto, che tutti noi siamo dei reclusi, non solo chi sta dietro delle sbarre, nella società tecnocratica in cui viviamo questo aspetto quando si parla di psichiatria va ancora oltre ed è molto più facilmente rivelabile.

Il controllo psichiatrico sulle menti dei cittadini non si esaurisce con le strutture mediche, gli ambulatori e i dottori. Inizia e continua molto prima e dopo di un TSO o di qualsiasi altro tipo di ricovero.
Banalmente, psicofarmaci e sostanze psicotrope, legali o meno che siano, sono accessibili a tutti anche senza aver mai parlato con un dottore. L’utilizzo di psicofarmaci è alle stelle ed è volontario e ricercato, sebbene indotto. Ecco, rispetto al carcere che si limita a mostrare la sua spada di Damocle come deterrente per le proprie azioni, la psichiatria ci insegna ad autocontrollarci, a sottoporre noi stessi ad un controllo auto indirizzato e preventivo, andando a colpire laddove tutto può nascere: le proprie emozioni. Quello che è accettato da tutti e ormai abbastanza comune da non fare orrore, è che noi ricerchiamo attraverso le sostanze, le innovazioni tecnologiche e tutto ciò che ci allontani dalle nostre reali necessità, l’annullamento delle nostre emozioni, quando esse sono troppo forti, o, viceversa, l’amplificazione delle stesse quando ci rendiamo conto di esserci talmente appiattiti da non provare quasi più nulla.
Si tratta del migliore modo per educarsi alla sottomissione ed una palestra in cui ci alleniamo tutti con ottimi risultati prima ancora che le strutture psichiatriche si mettano in moto per incidere direttamente sulle nostre vite.

Accade però che, come il bisogno di mangiare quando si ha fame, il bisogno di esprimersi quando si è isolati, soffocati nel proprio io, diventino non più rimandabili. Ed è lì che, a seconda dei casi, intervengono i manganelli della polizia o le iniezioni degli psichiatri.
Ma la psichiatria è più subdola ed efficace perché agisce su quello che più spaventa l’essere umano: la sofferenza. Ancora una volta, senza accortezza, la psichiatria ha larghi margini di vittoria su un individuo: quando esso non è più riportabile nei ranghi del pensiero unico della nostra società il suo scopo è annientarlo. E da qualunque angolo la si veda, sia che la terapia “funzioni” o meno, l’annientamento viene raggiunto: se il paziente non è incline a sottoporsi a questi trattamenti viene distrutto a colpi di iniezioni, pastiglie e ricoveri, quando non camicie di forza ed eventualmente botte, se invece il paziente accetta di seguire l’iter proposto e imposto, quello che diventa è un bravo cittadino che si cura e si dimentica di perché si è tagliato i polsi, di perché ha rotto un vetro a testate, ha picchiato un infermiere, è scappato di casa da ragazzino o semplicemente ha gridato nel cuore della notte, insomma si dimentica di chi è nei suoi più intimi aspetti e nell’apice delle sue emozioni. In ogni caso la psichiatria ha vinto, avremo un fantasma o un altro individuo pronto a produrre e consumare senza dare fastidio

Come tutti i servi e le strutture del potere la psichiatria si combatte lottando per l’abbattimento totale del sistema di dominio che di essa non può fare a meno, non c’è possibilità né spazio per renderla più “umana”, riformarla.
Ma più ancora che il resto, la psichiatria si combatte creando quelle situazioni di lotta quotidiana, di condivisione umana, di relazioni al di là dei costrutti sociali che permettano a ciascuno di noi di incanalare e rilasciare senza remore il nostro dolore, la nostra rabbia, la nostra gioia e la nostra euforia, il nostro odio e il nostro amore.
E se quell’uomo grida nel cuore della notte, aiutiamo le sue urla a raggiungere tutta la città, che sveglino i benpensanti e non rimbalzino nascoste contro i muri della sua stanza.

Questa voce è stata pubblicata in General. Contrassegna il permalink.