Nuova cine-rassegna! Com’è profondo il mare…

MERCOLEDI’ 22 LUGLIO ore 21UN’ARIDA STAGIONE BIANCA di Euzhan Palcy, 1989 con D. Sutherland, W. Ntshona, S. Sarandon, T. Ntshinga, M. Brando

MERCOLEDI’ 29 LUGLIO ore 21INDOVINA CHI VIENE A CENA? di Stanley Kramer, 1967 con K. Hepburn, S. Tracy, S. Poitier, B. Richards, K. Houghton

MERCOLEDI’ 5 AGOSTO ore 21L’UOMO CAFFELATTE di Melvin Van Peebles, 1970 con G. Cambridge, E. Parsons, H. Caine, E. Moran, D’Urville Martin

COM’E’ PROFONDO IL MARE

Una mini-rassegna di film per riflettere sul maledetto razzismo

“Intanto un mistico, forse un aviatore
inventò la commozione
che li mise d’accordo tutti, i belli con i brutti
con qualche danno per i brutti
che si videro consegnare un pezzo di specchio
così da potersi guardare.
Com’è profondo il mare
… ci stanno uccidendo il mare”.

Attraverso la proiezione di titoli precedenti la caduta dell’apartheid in Sudafrica (1993) si intende affrontare un tema riassunto nella definizione di razzismo.
Già il termine in sé non pare sufficientemente adeguato a coprire il campo di significato che tenta di descrivere, ma che in realtà restringe: “razzismo”, infatti, assumendo ed esaurendo su di sé una modalità relazionale, sembra agevolmente assolvere da responsabilità il contesto e gli operatori nel contesto in cui questa ennesima odiosa forma di autoritarismo si manifesta, mostrandolo come fenomeno malvagio ma comunque estraneo al sentimento generale dell’amata comunità, più o meno come un corpo sano mostra al medico una malattia che ritiene accidentale.

Il più generale termine “fascismo” sembra meglio aderire alla realtà: il razzismo non è che una tra le manifestazioni, fosse pure la più odiosa, di una mentalità fascista banale e quotidiana, che si manifesta nella trita tiritera di mostruosità che solitamente fa seguito al “non sono razzista ma” con cui sentiamo aprire molti discorsi.

La rassegna quindi propone come spunto di partenza una riflessione sull’apartheid, (STA’ DA PARTE), ovvero la discriminazione coatta applicata su larga scala, con tanto di leggi e arbitrio e sbirri e violenze, odio e allegre combriccole di amichetti tipo Ku Klux Klan.
Apparentemente, questo è il razzismo riconosciuto e ufficiale, che detestiamo tutti e da cui prendiamo le distanze perché compie misfatti. A nessuno piace, a posteriori, scoprirsi carnefice. Probabilmente è a questa variante del fascismo a cui ci si riferisce quando si sostiene “non sono razzista, ma”. Nemici dell’apartheid, a chiacchere, lo siamo tutti e non è certo a questo livello che un ragionamento su di noi può emanciparci. Chi non è nemico dell’apartheid è sostenitore del fascismo, su questo non piove.

A quanto diciamo, noi non siamo fascisti e non abbiamo bisogno di ombrello.

Due tra i titoli proposti, Stanley Kramer, Indovina chi viene a cena?, 1967 e Euzhan Palcy, Un’arida stagione bianca, 1989, trattano degli effetti pratici delle leggi di supremazia razziale in vigore negli Stati Uniti fino al 1968/70 e in Sudafrica fino al 1993 e sono pellicole certo in grado di rassicurare un antirazzismo spontaneo di tipo emotivo: le atrocità e l’assurdo sadismo che mostrano non lasciano indifferenti, almeno un minimo sindacale di indignazione ce la suscitano.

Con Melvin Van Peebles, L’uomo caffelatte, 1970, si vuole invece indagare il pregiudizio endemico e pandemico, quello che sottopelle e impercepito scorre nelle vene degli individui. La prospettiva di partenza del regista della blaxploitation si può riassumere appoggiandosi all’aforisma di un certo Albert: la semplice affermazione di una diversità genetica all’interno della specie umana è RAZZISMO.

In effetti, la moderna scientifica religione del DNA e della catena cromosomica difficilmente riesce a liberarsi dall’esperienza e dal contenuto nazista delle sue affermazioni. Esiste un razzismo della scienza vivace e feroce e sarebbe interessante a questo proposito interrogarci sul contributo che la moderna comunità scientifica deve a teorie e pratiche proprie della scienza nazista, con ciò che ne consegue. Non abbiamo però un film al riguardo. Perciò, per la prima volta, una rassegna cinematografica rimanda ad un ottimo testo, ossia Lewontin, Biologia come ideologia, Bollati e Boringhieri, 1993, che potrete leggere tranquillamente a casa.

Come detto, con questa mini rassegna si propone un punto di partenza e si è consci di non esaurire l’ampiezza del rapporto tra autoritarismo e stereotipo che il termine razzismo riassume; termine quantitativamente variabile, che spazia tra il becero e manifesto fascismo di un Salvini qualunque e il romantico paternalismo di chi offre un’elemosina per strada o tramite un’associazione di lucro no profit.

Lungi dall’essere opposti alternativi l’uno all’altro, il salvinucolo o la caritatevoles di turno profittano e speculano un’identica forma di sfruttamento, quello professato da sempre dagli autoritari e dai padroni: semplicemente, per il razzista modello Lega Nord è più confacente e conveniente il razzismo hardcore che usa manganello, reclusione e controllo, mentre al caritatevole conviene lavorare sul modello soft dei buoni sentimenti e, come suggerisce Lucio Dalla in citazione, regalare specchietti.
Detta banalmente, all’imprenditore elettore padano l’uso del bastone, del ricatto e della ritorsione permette di spadroneggiare a piacimento sulla manodopera, mentre alla cooperativa di donpepponesanto è più utile dispensare carote, pur se marce, per garantirsi finanziamenti e profitti, oltre l’aureola omaggio.
L’uno si impegna per recludere i barbari nei C.I.E., l’altro per portargli abiti di seconda mano e sapone a buon mercato. Entrambi fanno affari.

Quello che ci si augura è che questa mini rassegna ci ricordi di guardare all’altro come a un essere umano portatore di storia personale e non come all’appartenente ad una categoria. Decisa da altri, oltretutto. Sarebbe roba.
Buona visione.

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