SULL’APOLOGIA…

“LA LEGGE E’ LEGGE!” ( Totò )

Di questi tempi è difficile trovare un giusto equilibrio nelle parole per non scadere in un linguaggio da garantismo ed allo stesso tempo esporre questioni ed eventi che coinvolgono compagni e compagne anarchiche.

E’ capitato e capiterà spesso di ritrovarci a discutere di repressione e compagne/i inquisiti e/o indagati non solo per fatti specifici, ma per aver espresso e sostenuto idee e pratiche anarchiche. Pensiamo che ciò, in gran parte sia semplice e diretta espressione della forza autoritaria e legislativa dello Stato.

Da anarchici, che sia con uno scritto, un manifesto, una pubblicazione, certe idee e pratiche non ci interessa condividerle al teatrino della libertà democratica. Non ci rapportiamo al diritto concesso di esistere nel ventre di una società costruita a modello di dominazione, come nell’ordine democratico, non ci riferiamo alla libertà di espressione come rivendicazione minima in un contesto di prevaricazione così esteso e generalizzato. Leggi e codici penali sono dei limiti per loro principio, concepiti per il mantenimento dell’ordine statale. L’affinamento e l’evolversi del controllo (di cui il senso percepito è più alto del reale grazie al lavoro mediatico e alla riproduzione sociale di questo sentimento nel quotidiano) e della repressione ha per sua volontà un procedere inesorabile e continuo, al di là del livello di conflitto interno esistente.

Nel fronte interno mantenere viva la percezione di pericolo aiuta il sistema a favorire la delega da parte dei cittadini alla gestione dello stesso agli organi dello Stato, così, soprattutto a livello mediatico, incalzare ed esasperare il delirio securitario diventa una prassi tesa al mantenimento dello stesso. La gestione delle opinioni di massa diventa quasi di minoritaria importanza rispetto alla gestione delle sue emotività. Nella società tecno industriale che stiamo vivendo diventa minoritario anche il problema del consenso. Nella sua fragilità sociale, oltre che intellettuale, la creazione del consenso non è più fondamentale per il sistema, lo dimostra, in Italia, l’andamento di un governo che per 6 anni rimane tecnico, dove la destra si fa spazio incanalando la frustrazione e il malcontento del popolino. Si potrebbe dire che lo Stato ottiene il consenso tramite il lavoro di creazione e gestione delle emotività delle masse e il suo utilizzo a propria necessità, e sempre a difesa degli interessi delle classi ricche.

Chi crede nel Governo democratico potrebbe sostenere che le impennate repressive odorino di totalitarismo. Pensiamo invece che il totalitarismo, come è stato il fascismo, sia una forma di governo temporaneo scelta quando la forma principe del dominio, ovvero la democrazia e la sua finta etica perbenista ed egualitaria, non riesce più a garantire le funzioni di stabilità, progresso ed accumulazione di capitale.

In questo senso, l’instaurarsi di un totalitarismo non ha più bisogno del consenso politico. Nella società attuale vive forte un consenso al governo in quanto tale, ovvero all’idea di farsi gestire e governare interamente l’esistenza, dal punto di vista sociale, politico, dal punto di vista medico (società che ci ammala e medicalizza), dal punto di vista economico. Questo ottenuto sulla fragilità delle esistenze degli individui, sempre più indotti ad un senso di esasperazione, incapacità e non adeguatezza, che vede garantita la sicurezza della propria sopravvivenza, ed una idea di libertà, al costo della morte, delle deportazioni, dello sfruttamento delle popolazioni e della trasformazione in lager di interi continenti.

Così, conseguentemente a determinati eventi la democrazia rivela la sua natura. Versione in guanti bianchi di regime che continuamente al suo interno affina sistemi e modalità di controllo inesorabilmente, così come nella sua fisiologia implica la repressione di ciò che viene considerato scomodo. Al suo esterno si rapporta nel gioco di potere con altri Stati democratici o no, dove il governo militarmente ed economicamente più forte la fa da padrone.

Quello che interessa al dominio è scoraggiare e dissolvere il percepito potenzialmente pericoloso alla sua esistenza, in un gioco di rapporti di forza, che solo con la forza si alterano.

Per questo oggi ciò che viene ulteriormente criminalizzato e perseguito è il libero pensiero. Percepito pericoloso dal Sistema così come l’esprimere chiaramente determinate idee e concetti di solidarietà e sostegno. Ultimamente, rispetto alle associazioni a delinquere di cui svariati compagni sono stati incriminati, che si basavano su fatti specifici, oggi il salto repressivo prevede che l’espressione delle idee anarchiche, anche attraverso giornali, articoli ecc. diventi prova di partecipazione ad un presunto sodalizio o associazione terroristica o comunque perseguibili di per sé. Recentemente infatti è stato potenziato l’articolo 414 c.p. “istigazione a commettere reati, con l’aggravante della finalità di terrorismo”. Per inasprire le pene contro chi viene accusato di istigazione a delinquere per avere espresso idee anarchiche e di apologia di atti di terrorismo per chi apertamente sostiene atti di liberazione e di attacco.

Se all’esterno depreda, conquista, compie genocidi, devasta le vite ed i territori in nome del profitto, all’interno lo Stato si arma anche contro li dissenso. Oltre a colpire direttamente cerca di isolare e parcellizzare gli atti di liberazione e giustizia sociale. Anche contro chi sostiene eticamente l’azione diretta è prevista una punizione penale. Il codice penale italiano prevede l’articolo 414 cp.

Sono vari i casi in cui abbiamo visto applicare questo tipo di accusa con rinvio a giudizio, uno quello di un compagno genovese accusato in relazione ad uno scritto solidale con la gambizzazione dell’allora amministratore delegato di Ansaldo Nucleare, titolato “a chi non si dissocia”, in risposta al testo di presa di distanza dall’azione “i puntini sulle i” circolato subito dopo il fatto negli ambienti antagonisti. Non si tratta del primo caso di procedimenti di questo tipo, ricordiamo la situazione di altri compagni, con condanna in appello, nell’ambito del processo per l’Operazione Shadow, che ha già visto 3 condanne a tre anni per la pubblicazione KNO3. Altri due compagni sottoposti a giudizio a marzo 2016 e assolti, in merito ad uno scritto del 2014 di Nicola Gai. Un altro caso in Trentino di un compagno condannato in primo grado per un articolo comparso sul giornale “Invece”. Ancora un avviso di conclusione indagini nei confronti di alcuni anarchici a Palermo per la diffusione di alcuni manifesti murali e altre pubblicazioni.

Leggere questi eventi con una prospettiva critica che si limiti all’argomentazione della libertà di espressione oltre che essere un approccio da garantismo dei diritti, sarebbe molto parziale, in quanto non evince la causa scatenante dell’incremento repressivo, ovvero il senso del discorso espresso, l’argomento trattato: cioè l’azione diretta distruttiva, l’azione rivoluzionaria, l’abbattimento dell’ordine democratico. Ciò che interessa mettere a tacere al dominio è la divulgazione del potere distruttivo e liberatore dell’ azione, nel tentativo di oscurare la possibilità della sua riproduzione. Diventa pericoloso ciò che esprime e sostiene l’azione contro il dominio e i suoi uomini.

Cerchiamo sempre di progredire, analizzare e migliorare le esperienze passate anche se a volte non è facile nella carenza di organizzazione che connota il presente. Assistiamo a volte ad una virtualizzazione della vita, oltreché della lotta nella quale si rappresenta lo spettacolo della rivolta per poi prestarsi a letture politiche strumentali finalizzate a differenziare la legittimità o meno delle azioni.

Non ci stiamo.

L’azione anarchica contro le strutture pari a quella contro gli individui fa parte di un percorso di emancipazione e di liberazione. La solidarietà ai compagni che subiscono la repressione dello Stato e dei suoi apparati, la complicità ideologica, come la riproducibilità dell’atto, sono alcuni dei passaggi di questo percorso, nella ricchezza della lotta multiforme. Dove per multiforme non si intende la necessità di includere pratiche riformiste nell’esperienza rivoluzionaria, ma piuttosto l’esprimersi in varie forme, ma sempre secondo una logica di incompatibilità e conflittualità con il potere e le sue diramazioni, senza dare spazio al recupero.

Di certo non arriveremo ad adempiere alla pretesa censura delle nostre idee e del pensiero anarchico, piegandoci a ciò che non da fastidio e preoccupazione allo Stato, dando sponda solo al “bel pensiero” e alla “bell’idea”, stando comodi nei salotti della pace socialdemocratica, spolverando gli scaffali storici dell’anarchismo e visitando il museo della lotta armata. Anzi, è importante che modi e metodi vadano proporzionati dall’astuzia e dall’attenzione di chi è coscientemente in una posizione sovvertitrice dell’esistente per rispondere in modo coerente a questa imposizione. E’ importante confrontarsi sulle dinamiche della repressione sia per non cadere nella trappola dello Stato che per diffondere determinazione e non timori.

Senza scadere nel dogmatismo, isolandoci e privandoci della possibilità di incontrare e conoscere nuovi compagni di lotta, nella lotta, e senza prestare il fianco alle gerarchie informali di movimento e a pericolose strumentalizzazioni di chi ritiene che un metodo di lotta offensiva vada bene un giorno e l’altro no, in un posto e nell’altro no, in tanti si ma non in pochi, fatto da certi si da altri no, e così via…

Continueremo ad esprimerci e portare alto il valore della lotta. Solidarizzare con i compagni prigionieri e sostenere ogni attacco contro l’autorità e il dominio tecno-industriale ed ogni atto di rivolta e sovversione. Perché in questo modo ci sentiamo vivi…

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