GENOVA 18 OTTOBRE – CONCERTO A SORPRESA – MUSICA CONTRO IL SISTEMA

A sostegno di chi di fronte all’arroganza di questo sistema continua a rimanere a testa alta.
A sostegno di un compagno attualmente in carcere accusato di una rapina in posta, successivamente usata come pretesto per una delle tante traballanti indagini per associazione sovversiva, con le quali i difensori dello stato cercano di azzittire il dissenso e la rivolta di tanti collettivi, spazi ed individui.

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Libertà per Carlo Seppia! Libertà per i\le ribelli\e del 15 Ottobre!

INOLTRIAMO DA “RETE EVASIONI”

Quella che state per leggere è una storia come tante. Prendetevi 5 minuti e leggetela con attenzione poiché pur essendo una storia come tante esemplifica al meglio l’operato di guardie e giudici.

La storia di Carlo è la storia di uno dei tanti compagni che il 15 Ottobre si è ribellato alla violenza dello polizia e che oggi continua a subire la persecuzione giudiziaria dello Stato.

Carlo è stato arrestato il 27 ottobre 2011 dopo gli scontri in piazza San Giovanni a Roma con l’accusa di resistenza pluriaggravata e devastazione.

Il riconoscimento di Carlo sarebbe avvenuto grazie ad una foto pubblicata dall’edizione on line de Il Giornale. Dopo aver visto lo scatto che immortala un ragazzo vicino alla camionetta blu, un carabiniere lettore toscano del quotidiano avrebbe identificato Carlo e chiamato i suoi colleghi che poi si sono presentati a casa di Carlo, mostrando la foto che lo ritrae appunto mentre getta liquido, incendiario secondo gli inquirenti, all’interno della camionetta dei Carabinieri data alle fiamme in Piazza San Giovanni. Per i carabinieri, Carlo sarebbe corresponsabile dell’incendio al blindato ed è accusato anche di resistenza a pubblico ufficiale, ossia al carabiniere Fabio Tartaglione che era alla guida del mezzo e che è stato lasciato uscire dal mezzo senza problemi. Carlo avrebbe ammesso di essere lui quello nella foto, ma nello stesso tempo ha sottolineato che il liquido in questione era una semplice bevanda. Nessun liquido infiammabile.

Il 10 dicembre 2011, dopo aver scontato 1 mese e mezzo di carcere preventivo Carlo viene messo ai domiciliari. Il 23 marzo 2012 il Tribunale di Roma autorizza Carlo ad allontanarsi dall’abitazione pur restando in custodia cautelare in attesa di processo ai domiciliari
Il 4 Ottobre 2012, Carlo viene condannato a 5 anni. Non viene citato il liquido infiammabile poiché nessuno lo aveva analizzato: era stato definito così da una supposizione dei Carabinieri.
Il 20 Giugno del 2013 con l’accusa di aver violato i domiciliari viene riportato in carcere. Carlo non aveva evaso i domiciliari: semplicemente, vivendo in campagna, era uscito a recuperare i suoi cani fuggiti nel bosco ed era poi tornato a casa, avvisando lui stesso i carabinieri di essere uscito temporaneamente.
Il 10 Ottobre del 2013 viene confermata la condanna a 5 anni in Appello.
Il 31 gennaio 2014 il Tribunale del Riesame di Roma accoglie l’appello dell’avvocata di Carlo e dispone il ripristino degli arresti domiciliari con divieto di incontro e di colloquio.
Il 6 maggio 2014 la Cassazione annulla con rinvio la sentenza d’appello. Il 15 maggio 2014 la stessa Corte d’Appello ripristina la custodia in carcere in quanto è stato violato il divieto di incontro pur essendo Carlo presso la propria abitazione. La Corte d’Appello di Roma ha quindi disposto il suo ritorno in carcere al Don Bosco di Pisa.

In realtà la Cassazione il 6 Maggio 2014 ha annullato la sentenza della III Sezione della Corte di Appello di Roma e Carlo dovrebbe essere già libero da mesi e mesi. Ma in attesa dell’uscita delle motivazioni della sentenza affinché la sua avvocata possa presentare istanza di scarcerazione lo stato si è preso di nuovo la sua meschina vendetta e con una scusa banale ha riportato Carlo in carcere per la terza volta.

Libertà per Carlo!

Libertà per tutte e tutti!

Per scrivere a Carlo:

Carlo Seppia, c/o Casa Circondariale “Don Bosco” di Pisa

Via San Giovanni Bosco, 43

56127 Pisa

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Nuova cine-rassegna al Mainasso – “Le vacanze”!

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Spensieratamente, fino dai tempi della scuola, le vacanze evocano in noi l’immagine gioiosa di un tempo finalmente proprio, libero da maestri, da capi ufficio o reparto, da quotidiani comandanti e comandamenti, da orari obbligati e così via. Pensiamo le vacanze come tempo da dedicare a noi stessi, al divertimento o all’ozio.
Ma è veramente così? Davvero siamo padroni di noi stessi almeno il tempo di una vacanza?
Se si analizza criticamente la questione subito appare evidente quanto le vacanze comunemente intese, lungi da essere tempo liberato, siano piuttosto tempo concesso, l’ora d’aria nel cortile della meta-produzione. Così, nel tempo, tramite l’idea di vacanza, le necessità della produzione, del profitto e del consumo, sono andate via via modificando e uniformando la percezione individuale e collettiva del concetto di libertà, inteso come fruizione del proprio tempo e relazione con l’esistente.
Apparentemente senza soluzione di continuità, siamo passati dalle ferie agostane di massa del periodo del boom economico, i famigerati esodi forzati, ai resort tutto compreso in posti esotici low cost dell’attualità: in realtà, la progressiva trasformazione dei nostri desideri e dei nostri comportamenti in relazione alla vacanza segna l’esito di un conflitto nel quale l’io singolare viene a scontrarsi con l’io producente, un non-io collettivo dove la costruzione dell’individualità si traduce consumisticamente nella stereotipa e frigida accumulazione di “must” necessari all’acquisizione di uno status che riveli immediatamente quale luminoso essere siamo.
Per questo non-io che riduce la libertà a vacanza il tempo proprio è semplice illusione, credenza non giustificata. La piacevole sensazione che sembra darci una momentanea evasione dalla routine è apparenza che nasconde in realtà un banale scivolamento comportamentale: nello stato mentale vacanziero non si passa dall’obbedienza alle regole invernali alla loro critica o negazione, semplicemente le regole invernali vengono sostituite da regole estive, altrettanto rigide, però soleggiate.
Con il pacchetto libertà all-inclusive abbiamo la possibilità di produrre e consumare mantenendo l’illusione di “ricaricare” prima di riprendere a produrre e consumare.
A ben vedere quindi, anche una rassegna come questa, “vacanze”, che vuole essere leggera e divertente, può offrire spunti interessanti riguardo la costruzione dell’autonomia individuale, del rapporto fra sé e il proprio tempo, fra il proprio tempo e la fruizione di esso, fra tale fruizione e il vivere, al di là del particolare contenuto di ogni singolo film proposto.

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Incontro con Amadeu Casellas: ANNULLATO! Buffet a sostegno di Daniele e Francesco: CONFERMATO!

Purtroppo, la visita di Amadeu in Italia è rimandata a causa di suoi problemi famigliari.

Quindi l’incontro e la presentazione del libro al MAINASSO sono annullati, mentre il BUFFET A SOSTEGNO DI DANIELE e FRANCESCO si farà ugualmente.

Quindi si rinnova l’invito al MAINASSO per VENERDI’ 27 GIUGNO a partire dalle 19 in Piazza Santa Maria in Passione!

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Incontro con Amadeu Casellas – Buffet a sostegno di Daniele & Francesco

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VENERDI’ 27 GIUGNO dalle ore 19.00 al MAINASSO p.s.m. in Passione, 6  Genova

Ex prigioniero delle carceri spagnole e militante anarchico, Amadeu Casellas ha trascorso più di 25 anni in carcere per aver rapinato – fra gli anni ’70 e ’80 – decine di banche allo scopo di finanziare le lotte operaie e rivoluzionarie. In carcere ha partecipato a diverse mobilitazioni dei detenuti e, negli ultimi anni ha condotto diversi scioperi della fame per reclamare la libertà che gli era negata, nonostante avesse già scontato il numero massimo di anni di carcere previsti dalla legge.

Amadeu ci parlerà del libro autobiografico che ha appena pubblicato:Un riflesso della società. Cronache dalle carceri della democrazia” in cui narra di alcune rapine e della sua esperienza in carcere.

BUFFET A SOSTEGNO DI DANIELE E FRANCESCO, ARRESTATI A PISA E LIVORNO PER UN RESIDUO DI PENA DA SCONTARE IN RELAZIONE AD UNA RAPINA AVVENUTA A LUCCA NEL GIUGNO 2007

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Sgomberi, sfratti e detenzioni – Le cangianti armi della repressione

Ieri mattina a Genova, consolidando una consuetudine di questi tempi, Carabinieri, Vigili Urbani e A.R.T.E. si sono presentati alla porta di una delle tante occupazioni abitative in centro storico. Dopo fugaci controlli, l’arrivo di alcuni solidali e qualche blanda minaccia se ne sono andati senza produrre molti altri fastidi oltre all’ennesima testimonianza della loro stessa esistenza.
Qualche settimana fa, invece, sempre nel centro storico, durante un’operazione di sgombero di un appartamento occupato, i tutori dell’ordine e della proprietà hanno deciso di farsi accompagnare da un’ambulanza e dal conseguente monito di TSO nei confronti della persona che al momento si trovava dentro, nel caso avesse resistito, dato in escandescenze o semplicemente protestato più vivacemente del democraticamente consentito.
Su sgomberi e sfratti nello specifico l’attuale contro-informazione è già ricca di ampi ed eterogenei contributi; proponiamo, quindi, un testo scritto qualche anno fa in seguito ad un episodio di fuga da un reparto psichiatrico cittadino.

Non perdiamo occasione per rinnovare la nostra solidarietà a chi quotidianamente combatte contro questo sistema infame e, in particolare, agli arrestati ed indagati a Torino per la lotta contro gli sfratti.

Il TSO (Trattamento Sanitario Obbligatorio) è una forma di coercizione arbitraria che viene decisa da un personale medico e siglata dal sindaco della città. Ha valore legale. Una persona che subisce un TSO deve rimanere, se questo non viene revocato prima, ricoverata 7 giorni (rinnovabili fino a 30) nel reparto psichiatrico dell’ospedale più vicino al luogo in cui viene prelevata. Terminati i giorni previsti dalla legge la persona viene rilasciata o la permanenza in ospedale viene prolungata trasformandosi in TSV (Trattamento Sanitario Volontario). Come dice il nome stesso questo tipo di intervento dovrebbe essere vincolato alla volontà del “paziente”, di fatto, sebbene da un punto di vista legislativo lascia aperti più spiragli dai quali poterne uscire, si tratta ancora una volta di una decisione arbitraria del primario di reparto che si riserva di trattenere la persona fino a tempo indeterminato in attesa di verificare gli effetti della terapia.

Inutile dire che durante tutto questo periodo di detenzione si è costretti ad ingoiare farmaci di ogni tipo senza essere informati su quello che sono, ci si deve attenere ad orari ripetitivi, nessuno se non gli altri reclusi parla con te su un livello paritario, nel migliore dei casi si è costretti a sostenere colloqui con persone con le quali non si desidera avere alcun tipo di rapporto, ogni forma singolare di manifestarsi o ogni tipo di opposizione vengono punite.
Chiunque terminata questa esperienza, quando ritrova la luce del sole si ritrova devastato, privo di forze fisiche e psicologiche, prosciugato di tutto, senza neanche probabilmente ricordarsi perché è finito lì dentro.
Il rilascio viene garantito solo previo consenso a proseguire la terapia farmacologica presso gli ambulatori e minaccia di TSO se questo non verrà rispettato. Questo basta per dire che senza accortezza è molto facile, una volta entrati nelle briglie della psichiatria, non uscirne mai più e, pertanto, avere la propria vita rovinata.

Perché mai si dovrebbe subire un TSO? Volutamente abbiamo voluto tralasciare questa parte perché non intendiamo cadere, come accade per la medicina mentale, nella categorizzazione ed etichettatura dei comportamenti umani. Ci limitiamo a dire che per propria esplicita dottrina la psichiatria interviene laddove i comportamenti e i modi di esprimersi non sono allineabili o assorbibili da quelli considerati “normali”, insomma quelli dominanti.

La psichiatria, da sempre, è uno strumento di controllo sociale a servizio del regime, democratico, fascista, comunista che sia.
Si può dire che se il carcere reprime la dissidenza quando si concretizza sotto forma di pensiero ed azione, la psichiatria reprime la dissidenza delle emozioni e del loro diverso manifestarsi.
Ma, se da un lato si potesse senza grande possibilità di sbagliarsi dire che viviamo in un vero e proprio carcere a cielo aperto, che tutti noi siamo dei reclusi, non solo chi sta dietro delle sbarre, nella società tecnocratica in cui viviamo questo aspetto quando si parla di psichiatria va ancora oltre ed è molto più facilmente rivelabile.

Il controllo psichiatrico sulle menti dei cittadini non si esaurisce con le strutture mediche, gli ambulatori e i dottori. Inizia e continua molto prima e dopo di un TSO o di qualsiasi altro tipo di ricovero.
Banalmente, psicofarmaci e sostanze psicotrope, legali o meno che siano, sono accessibili a tutti anche senza aver mai parlato con un dottore. L’utilizzo di psicofarmaci è alle stelle ed è volontario e ricercato, sebbene indotto. Ecco, rispetto al carcere che si limita a mostrare la sua spada di Damocle come deterrente per le proprie azioni, la psichiatria ci insegna ad autocontrollarci, a sottoporre noi stessi ad un controllo auto indirizzato e preventivo, andando a colpire laddove tutto può nascere: le proprie emozioni. Quello che è accettato da tutti e ormai abbastanza comune da non fare orrore, è che noi ricerchiamo attraverso le sostanze, le innovazioni tecnologiche e tutto ciò che ci allontani dalle nostre reali necessità, l’annullamento delle nostre emozioni, quando esse sono troppo forti, o, viceversa, l’amplificazione delle stesse quando ci rendiamo conto di esserci talmente appiattiti da non provare quasi più nulla.
Si tratta del migliore modo per educarsi alla sottomissione ed una palestra in cui ci alleniamo tutti con ottimi risultati prima ancora che le strutture psichiatriche si mettano in moto per incidere direttamente sulle nostre vite.

Accade però che, come il bisogno di mangiare quando si ha fame, il bisogno di esprimersi quando si è isolati, soffocati nel proprio io, diventino non più rimandabili. Ed è lì che, a seconda dei casi, intervengono i manganelli della polizia o le iniezioni degli psichiatri.
Ma la psichiatria è più subdola ed efficace perché agisce su quello che più spaventa l’essere umano: la sofferenza. Ancora una volta, senza accortezza, la psichiatria ha larghi margini di vittoria su un individuo: quando esso non è più riportabile nei ranghi del pensiero unico della nostra società il suo scopo è annientarlo. E da qualunque angolo la si veda, sia che la terapia “funzioni” o meno, l’annientamento viene raggiunto: se il paziente non è incline a sottoporsi a questi trattamenti viene distrutto a colpi di iniezioni, pastiglie e ricoveri, quando non camicie di forza ed eventualmente botte, se invece il paziente accetta di seguire l’iter proposto e imposto, quello che diventa è un bravo cittadino che si cura e si dimentica di perché si è tagliato i polsi, di perché ha rotto un vetro a testate, ha picchiato un infermiere, è scappato di casa da ragazzino o semplicemente ha gridato nel cuore della notte, insomma si dimentica di chi è nei suoi più intimi aspetti e nell’apice delle sue emozioni. In ogni caso la psichiatria ha vinto, avremo un fantasma o un altro individuo pronto a produrre e consumare senza dare fastidio

Come tutti i servi e le strutture del potere la psichiatria si combatte lottando per l’abbattimento totale del sistema di dominio che di essa non può fare a meno, non c’è possibilità né spazio per renderla più “umana”, riformarla.
Ma più ancora che il resto, la psichiatria si combatte creando quelle situazioni di lotta quotidiana, di condivisione umana, di relazioni al di là dei costrutti sociali che permettano a ciascuno di noi di incanalare e rilasciare senza remore il nostro dolore, la nostra rabbia, la nostra gioia e la nostra euforia, il nostro odio e il nostro amore.
E se quell’uomo grida nel cuore della notte, aiutiamo le sue urla a raggiungere tutta la città, che sveglino i benpensanti e non rimbalzino nascoste contro i muri della sua stanza.

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La rivolta è vita! Presentazione dell’opuscolo “Divide et Iudica”

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Il 4 aprile 2013 è iniziato il processo che vede imputate 25 persone per la rivolta del 15 ottobre 2011 a Roma.

Ma cos’è successo quel giorno? Una mobilitazione mondiale contro le politiche di austerità si annunciava come la solita protesta pacifica e moderata nelle strade della capitale. I soliti politici di sinistra, già pronti a riciclarsi e a cavalcare l’onda del malcontento, contribuivano a render gli slogan solo parole vuote, sperando così di evitare il nascere di un’espressione reale e radicale della protesta.
Ma avevano fatto male i conti, per migliaia di persone non era possibile “indignarsi” e piagnucolare contro le misure di austerity, non era accettabile sfilare per elemosinare modifiche al sistema: perché non scagliarsi tutti insieme contro chi ci sfrutta e opprime ogni giorno?

Banche e agenzie interinali lungo il percorso del corteo vengono attaccate, le loro vetrine sfondate.
Solo una briciola, una piccola parte della violenza che ogni giorno questi uffici esercitano su poveri e sfruttati viene rispedita al mittente.
Il corteo prosegue e i manifestanti si scagliano contro una caserma dell’esercito italiano, i vetri infranti e il palazzo viene parzialmente distrutto da un incendio.
Questa è una normale e istintiva risposta al terrore e alla devastazione che i “nostri eroi” causano con le bombe sganciate sulle popolazioni nei territori di guerra come Iraq, Libia, Afghanistan. Un’espressione di ribellione contro chi quotidianamente bombarda, stupra, massacra in giro per il mondo.

Alcuni tra i promotori e partecipanti alla manifestazione dispongono servizi d’ordine ad hoc per impedire qualsiasi azione non in linea con la parata pacifica da loro auspicata, fanno cordoni, non per proteggersi dalla polizia, ma per bloccare eventuali “facinorosi”, sono pronti a contrapporsi fisicamente per difendere i luoghi e i simboli del potere, si calano nel ruolo degli sbirri, aggrediscono gli altri manifestanti, li fotografano, li chiamano fascisti e intervengono in modo attivo aiutando la polizia ad identificarli.

Le forze dell’ordine caricano duramente la parte del corteo già arrivata in piazza San Giovanni, dove il corteo dovrebbe concludersi con un comizio politico, premeditato da vari gruppi e partiti per promuovere una soluzione democratica alla situazione di esasperazione che aveva portato a quella giornata.
Questa carica è la goccia che fa traboccare il vaso, è la scintilla che scatena il desiderio di rivolta tra i manifestanti. Gli sbirri che manganellano i pacifisti con le mani alzate saranno costretti alla ritirata da chi capisce che le mani è meglio usarle per lanciare i sanpietrini sradicati dal lastricato della piazza.

Il blindato dei carabinieri che tentava deliberatamente di investire la folla con assurdi caroselli in una piazza gremita viene assaltato, lo scellerato autista si salva per miracolo e il mezzo viene dato alle fiamme, illuminando San Giovanni e i cuori di chi ha scelto di non abbassare la testa.

Sul retro del mezzo in fiamme qualcuno traccia la scritta A.C.A.B. CARLO VIVE.

Solo più tardi si scoprirà che, ironia della sorte, quel blindato proveniva proprio da Genova e dalla caserma di Bolzaneto, dopo anni di richieste di “verità e giustizia” sui fatti del G8, l’unica giustizia possibile arriva dalle mani della nuova generazione di incappucciati.
Carlo, ucciso per aver scelto la via della rivolta a quella della rassegnazione di una protesta-farsa, dopo anni di pallide commemorazioni, vive per davvero, in mezzo a tutte quelle persone che circondano e assaltano la camionetta.

I giorni seguenti vengono lanciati dai media appelli alla delazione e all’infamia, si chiede alla popolazione ancora turbata per la furia distruttiva della manifestazione di fornire alla polizia foto e video al fine di aiutare l’identificazione e l’arresto dei violenti.

Nel corso di poco più di un anno 41 persone vengono denunciate, indagate, sottoposte a misure cautelari o arrestate per reati come devastazione e saccheggio e resistenza aggravata a pubblico ufficiale. Gli arresti sono isolati, eseguiti in tempi diversi, in sordina. Gli individui vengono imprigionati e processati, velocemente condannati con il meno clamore possibile; l’obiettivo di colpire uno ad uno è finalizzato a isolarli e smorzarne fisico e animo. Lo scopo è far sentire gli imputati soli, indifesi e perché no, cercare di spingerli al rimorso, al pentimento! Questo gioco che porta avanti la giustizia di Stato può avere effetti devastanti e di fatto degli effetti ci sono stati; 16 condanne in un anno con pene pesantissime dai 2 ai 9 anni. Dovute in parte a scelte processuali di difesa tese a ridurre i danni. Non si può certo biasimare chi ha scelto di difendersi con riti abbreviati o patteggiamenti in questo clima di solitudine creato ad hoc, ma coscienti di questo possiamo impugnare l’arma della solidarietà in modo che queste differenziazioni non si ripetano un’altra volta, di modo che mai nessuno possa sentirsi abbandonato, che mai a nessuno venga il dubbio che non ne valeva la pena!

Non possiamo permettere di farci infettare dal virus del rimorso, vogliamo invece ribadire che da Genova a Roma, da Atene a Londra ogni fuoco di rivolta è stato alimentato dallo stesso spirito di rabbia che per sempre ci scalderà il cuore.
Quando la rivolta esplode tutto cambia, le città vengono stravolte, i nostri cuori battono all’unisono, tutto è raggiungibile e attaccabile.
Sta a chi sogna che la routine delle strade attraversate ogni giorno sia rovesciata dalla gioia della rivolta, sta a tutti noi rompere l’isolamento che vorrebbero creare intorno ad ogni imputato: le 3 mila persone in corteo a Teramo in risposta alle prime condanne per devastazione e saccheggio, gli attacchi alle banche e alla polizia schierata durante il corteo del 16 marzo a Milano in memoria di Dax, ucciso dai fascisti nel 2003, tutte le azioni dirette e le manifestazioni di solidarietà che hanno avuto vita in questi ultimi anni dimostrano che farlo è possibile.

Che l’eco delle nostre urla di rabbia si diffonda ovunque. Che tutti gli inquisiti per le lotte e le rivolte di questi anni non restino soli.
Che il fuoco che arde dentro di noi si propaghi nelle nostre città.
Solidarietà a FRA!
Solidarietà a tutti i processati per la rivolta del 15 ottobre!
 

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Mainasso – Nuova occupazione: P.S.M. che PASSIONE!

Oggi 1 giugno il MAINASSO continua a soffiare, spostando le iniziative e la sua vita pochi vicoli più in su.
Abbiamo occupato un altro fondo in P.iazza S.anta M.aria in Passione,6 per ribadire la nostra volontà di concretizzare una critica reale all’esistente in tutte le sue varie forme.Le prossime iniziative saranno:

LUNEDI 2 GIUGNO dalle 19 presentazione del progetto editoriale CROCE NERA ANARCHICA

MARTEDI 3 GIUGNO dalle 21 proiezione di BRAZIL per il ciclo “VERITA’ E CONFLITTO TRA INDIVIDUO E AUTORITA’”

VENERDI’ 6 GIUGNO dalle 19 presentazione dell’opuscolo “DIVIDE ET IUDICA – IL LABIRINTO PROCESSUALE DEL 15 OTTOBRE”

SABATO 7 GIUGNO dalle ore 18 aperitivo in sostegno ad un compagno sotto processo per i blocchi stradali avvenuti in seguito alla morte di un operaio in porto nel 2007

ANCORA!
PER LA RIVOLTA!
PER LA LIBERTA’!

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La fine non è la fine!

IL MAINASSO SOFFIA ANCORA

Questa notte, 27 maggio, la questura ha sgomberato, con un imponente spiegamento di forze, il Mainasso occupato da appena 2 mesi.
Ciò non ci scoraggia, ma anzi ci spinge ad andare avanti per la nostra strada senza esitazioni.
Per 2 mesi uno spazio di proprietà delle Opere Pie (il famigerato Ente Morale), abbandonato da tempo (e che tale rimarrà, blindato e oscurato), è stato sottratto alle dinamiche imperanti del profitto, della passività e dell’alienazione. Non ponendosi obbiettivi specifici a termine, un semplice fondo di pochi metri quadrati è diventato un posto di ritrovo per chiunque si ostini a voler vivere il piacere dell’incontro, della condivisione e del confronto, per chiunque si ostini a voler vivere ancora le strade.
Un posto dove ospitare iniziative, cineforum, cene, incontri… Sempre con la priorità di sostenere e portare la solidarietà a chi è colpito dalla repressione per essersi battuto contro questo stato delle cose, contro questa società infame nella quale vorrebbero costringerci a vivere.
Uno spazio ritorna al suo precedente stato di inerzia, ma chi lo ha vissuto non intende limitarsi in alcun modo.
Per questo le iniziative previste verranno mantenute, a partire da stasera, con luoghi e modalità che saranno comunicati di volta in volta.

MARTEDI’ 27 MAGGIO alle 21 in PIAZZA DELLE ERBE per la rassegna “VERITA’ E CONFLITTO TRA INDIVIDUO E AUTORITA’”, I DIAVOLI di Ken Russell

LUNEDI 2 GIUGNO
dalle 19 presentazione del progetto editoriale CROCE NERA ANARCHICA

MARTEDI’ 3 GIUGNO alle 21 per la rassegna “VERITA’ E CONFLITTO TRA INDIVIDUO E AUTORITA'”, BRAZIL di Terry Gilliam

VENERDI’ 6 GIUGNO dalle 19 presentazione dell’opuscolo “DIVIDE ET IUDICA – IL LABIRINTO PROCESSUALE DEL 15 OTTOBRE”

SABATO 7 GIUGNO
dalle 18 aperitivo in sostegno ad un compagno sotto processo per i blocchi stradali avvenuti in seguito alla morte di un operaio in porto nel 2007

ANCORA!
PER LA RIVOLTA!
PER LA LIBERTA’!

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