Manifesto solidale! Con i compagni/e in lotta, contro i signori della Guerra!

Ce ne sono 500 copie in formato A2. Se qualcuno fosse interessato ad averne qualche copia, scriva pure a solidali15ottobregenova@gmail.com

(Cliccare sopra l’immagine per ingrandire)

DEFINITIVOOO x Web

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Cena a sostegno di un compagno sotto processo per la rivolta del 15 ottobre 2011 a Roma

ABBUFFATA ADRIATICA

MENU’
– Antipasti misti
– Polenta con sughi
– Contorni
– Dolci e caffè
– Vino

Prezzo 15 euro

Durante la serata aggiornamenti sul processo e dibattiti.

Per prenotarsi: solidali15ottobregenova@gmail.com oppure al 3207290169

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Né la loro guerra, né la loro pace!

«Noi dobbiamo annientare i nemici della Repubblica… e privare della nazionalità
coloro che si fanno beffe dell’anima francese»
Manuel Valls, Primo Ministro, 14 novembre 2015

Se c’è da riconoscere una qualche continuità alla Repubblica francese, è proprio quella degli omicidi di massa. Dal Terrore dello Stato del 1793-94 che ha appunto generato la parola terrorismo fino alla repressione degli insorti del 1848 e di quelli della Comune del 1871; dalla colonizzazione e la deportazione degli ebrei permessa dalle schedature precedenti fino al massacro dei manifestanti algerini nel 1961 nel cuore di Parigi, tutte le Repubbliche francesi hanno massacrato generosamente affinché i potenti continuassero a dominare e a sfruttare. La repubblica francese è una montagna di cadaveri la cui sconcezza che ne costituisce l’apice ha potuto preservarsi schiacciando i suoi veri nemici, i rivoltosi e i rivoluzionari che hanno lottato per un mondo di giustizia e di libertà. L’«anima francese», se mai questa stronzata senza nome esistesse, sarebbe un cartello rigurgitante voci che gridano vendetta contro i borghesi, i politici, gli sbirri, i militari e i preti che le hanno calpestate per affermare il proprio potere.
Ah, ma tutto questo è il passato. O no? Decenni di partecipazione cittadinista, d’integrazione mercantile e di spossessamento generalizzato hanno davvero fatto dimenticare a chi conserva ancora un briciolo di sensibilità che sparare nel mucchio non è esclusività di lontani terroristi? Che da qualche anno lo Stato francese ha fatto il suo grande rientro sulla scena internazionale del terrorismo statale, moltiplicando i suoi attacchi militari in tutto il pianeta (Libia, Mali, Afghanistan, Costa d’Avorio, Somalia, Africa Centrale, Iraq, Siria). Cambia il pretesto di volta in volta, ma le ragioni restano le stesse: mantenere il controllo di risorse strategiche, guadagnare nuovi mercati e zone d’influenza, preservare i propri interessi davanti ai concorrenti, impedire che delle insurrezioni si trasformino in sperimentazioni di libertà. E se ce ne fosse bisogno, alcuni moniti vengono anche lanciati per avvertire gli indolenti che questa logica di guerra non avrà limiti territoriali: la morte di un manifestante lo scorso anno a Sivens o i corpi crivellati di schegge di quelli di Notre-Dame-des-Landes e di Montabot servono a ricordare che non si esiterà, anche qui, a scagliare granate offensive in cachi contro le folle per seminare il terrore.
Perché, cos’è il terrorismo se non colpire nel mucchio in modo indiscriminato per cercare di conservare o conquistare il potere? Un po’ come fanno i ricchi uccidendo e mutilando quotidianamente milioni di esseri umani al lavoro nel nome del danaro che guadagnano con lo sfruttamento. Un po’ come fanno gli industriali e i loro lacché in camice bianco avvelenando permanentemente la vita sulla terra. Un po’ come tutti gli Stati che rinchiudono e torturano a fuoco lento gli esclusi dal loro paradiso mercantile e i ribelli alle loro leggi imprigionandoli per anni fra quattro mura. Un po’ come quei grrrandi democratici che hanno fatto del Mediterraneo un cimitero popolato da migliaia di indesiderabili col solo torto di essere sprovvisti di un valido pezzetto di carta. Ma la pace dello Stato e del capitalismo ha questo prezzo. La pace dei potenti è la guerra contro i dominati, all’interno come all’esterno delle frontiere.
Il 13 novembre a Parigi, le regole del gioco sono state rispettate. Si proclami islamico o repubblicano, califfato o democrazia, lo Stato resta lo Stato, ovvero una potenza autoritaria la cui violenza di massa viene esercitata contro tutti coloro che non si sottomettono al suo ordine sovrano. Uno dei principi di ogni Stato è di riconoscere solo sudditi. Soggetti che devono obbedire a leggi dettate dall’alto, cioè l’opposto di individui liberi che possano autorganizzarsi senza essere diretti né dirigere. Dai bombardamenti di Dresda e Hiroshima fino ai villaggi vietnamiti passati al napalm o a quelli della Siria sotto barili di tritolo, gli Stati non hanno mai esitato nelle loro luride guerre a sacrificare una parte della propria popolazione, o quelle dei propri avversari. Colpendo i passanti parigini a caso per punire il loro Stato, i soldatini delDaech [Isis] non hanno fatto che riprodurre l’implacabile logica dei loro avversari. Una logica terribile, terribile come qualsiasi potere statale.
Lo stato d’emergenza decretato in Francia da ieri, misura di guerra interna di un governo che adegua il paese alla sua politica di terrorismo internazionale, non è che un ulteriore passo nella pratica di base di qualsiasi governo, mirante alla normalizzazione forzata della vita, alla sua codifica istituzionale, alla sua standardizzazione tecnologica. Perché, se lo Stato guarda il futuro, cosa vede? Crac economici, disoccupazione di massa, esaurimento delle risorse, conflitti militari internazionali, guerre civili, catastrofi ecologiche, esodo di popolazioni… Vede cioè un mondo sempre più instabile, in cui i poveri sono sempre più numerosi e concentrati, un mondo fradicio di disperazione, che si trasforma in un’enorme polveriera, in preda a tensioni di ogni genere (sociali, identitarie, religiose). Un mondo in cui l’accensione della minima scintilla, quale essa sia, non può essere tollerata da una democrazia sempre più totalitaria. Allora, proprio come «cittadino» ha il significato di «sbirro», «guerra al terrorismo» significa soprattutto guerra contro tutti coloro che rompono i ranghi del potere. A tutti i non sottomessi alla pacificazione sociale, a tutti i disertori delle guerre tra potenti e autoritari, sabotiamo l’Unità nazionale…

Un cattivo soggetto,
nemico della Repubblica e di tutti gli Stati

 Parigi, 14 novembre 2015

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SUL MOLOVERDE HARDCORE IN TRASFERTA

“Io non volevo solo partecipare alle feste,
io volevo avere il potere di farle fallire”

Non è un caso se, anche questa volta, un nutrito gruppo di persone ha deciso per l’ennesima volta di riappropriarsi di un momento e di un luogo dove da anni incontrarsi, passare del tempo insieme, costruire e allacciare nuovi rapporti, cercando di condividere e mantenere sempre viva la nostra tensione a rovesciare ciò che ci viene quotidianamente imposto, è reale e tangibile.

Non è un caso se tentare di impedire lo svolgimento di un momento come questo sia totale interesse dei servi dello Stato, tanto da blindare completamente il litorale della spiaggia della Margonara dove da circa otto anni si tiene la festa del Moloverde.

Nato come un momento di ritrovo per impedire l’ennesima colata di cemento e il conseguente stupro della costa del ponente ligure, il Moloverde è rimasto negli anni luogo e momento di scambio e confronto tra diverse realtà permettendo di vivere esperienze concrete e creare legami indissolubili.
Nel corso degli anni sono state molteplici le iniziative, caratterizzate da diversi temi e attività che hanno dato la possibilità a diverse persone di ritrovarsi in quel piccolo pezzo di costa.

Comune denominatore negli anni di realizzazione di questi eventi è sempre stata la presenza della musica, come momento di espressione di quello che abbiamo dentro di noi.
Attraverso la musica impariamo a conoscere noi stessi, le nostre emozioni diventano più tangibili e le nostre tensioni possono prendere forma. Rompiamo ogni legame con tutto ciò che di opprimente ci circonda, lasciando da parte tutte quelle dinamiche di controllo che rendono la nostra vita piatta come lo smartphone che abbiamo in tasca.

Da questi momenti è sempre nata la necessità di stringersi intorno a chi costantemente decide di attaccare questo sistema putrescente con l’azione diretta, infatti come ogni anno il sostegno è stato indirizzato ai prigionieri e alle prigioniere.

Non sarà un caso se momenti come questi verranno riproposti, nonostante le costanti minacce di denunce paventate come al solito dai penosi giornaletti locali.
Proprio in situazioni come queste si impara a far fronte tutti assieme ai colpi bassi sbirreschi e anche questa volta si è dimostrato che con la determinazione e la condivisione si possono perseguire e raggiungere (anche solo per una notte) obiettivi che mirano a far breccia nella routine angosciante della società che cercano di imporci.

Un grande ringraziamento va a tutti coloro che si sono sbattuti, hanno suonato e hanno contribuito a creare questo Moloverde hardcore in trasferta!

Alla prossima……stay hardcore!!!!!

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Stasera Moloverde hardcore – cambio location!

A causa dell’inagibilità della spiaggia del Moloverde il concerto previsto per stasera si trasferisce…

per informazioni 347 19 10 146

PSM

INDICAZIONI

Uscire a Celle Ligure. Dopo 10 metri, prima della curva prendere la stradina sulla destra, attraversare il parcheggio vicino ai giochi per bambini, superare il ristorante Gemma e proseguire lungo la stradina sterrata fino al cancello. Parcheggiare fuori e scendere a piedi.

IL POSTO E’ AL COPERTO!

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Sabato 12 settembre! MOLOVERDE HARDCORE!!!

moloverde2015

SABATO 12 SETTEMBRE dal 19 in poi al MOLOVERDE (SV)

CONCERTO HC BENEFIT PRIGIONIERI/E con:

JUAN MAN BANDRovereto hc
LA SINTESISavona hc
THE SMUDJASMilano emo-punk
GLI STRONZIImperia punk
LABRATS BUGBANDLosanna rap
FLICS DANS LA TETETorino hc
5MDRSavona street-punk
EVERSIONESanremo hc
HOLY FROSTMarsiglia crust

a seguire djset con
Dome e Ejecktsound

MOSTRE, DISTRO & BUFFET

Il Moloverde rimane sulla via Aurelia tra Savona e Albisola
esattamente all’imbocco della galleria lato Albisola.

per maggiori info: solidali15ottobregenova@gmail.com

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E’ uscito “LA PESTE – numero 0”. Aperiodico di critica sociale da Genova

copertina definitiva fronte

E’ appena uscito il numero 0 de “La Peste”, un aperiodico di critica sociale attento a quello che avviene a Genova e dintorni, ma non solo.
Per il momento, a parte la copertina e l’editoriale, non verrà interamente pubblicato su internet, poi si vedrà.
Per cui chi è interessato può richiederne una o più copie scrivendo a:

jeantarrou666@gmail.com

2 euro a copia
1 euro a copia sopra le 5 unità
+ spese di spedizione

EDITORIALE

Questo aperiodico nasce puramente come l’esigenza non rimandabile di non tacere e
restare immobile rispetto a quello che ci accade e che accade intorno a noi.

Trae indissolubilmente spunto dall’esistenza nella sua totalità. Con la consapevolezza
immutabile che le parole sono molte preziose, uno strumento importante
nell’avvicinare le persone alla realizzazione di quel desiderio imprescindibile di
esprimersi, di rivelare se stessi agli altri, ma che devono vivere dell’esperienza reale,
diretta, non mediata, che se il loro suono non si accorda con essa non valgono nulla.

Le parole e i modi in cui si intrecciano sono innumerevoli, ma restano un codice.
L’esperienze che compongono e danno forma e sostanza alle nostre esistenze sono
infinite e uniche.
Saper utilizzare il linguaggio, non significa saper vivere la propria vita a testa alta,
senza rimorsi. Viceversa la capacità di creare un vissuto degno e di realizzare
esperienze significative, non ha per forza bisogno di una relativa prosa all’altezza,
spesso non ha nemmeno bisogno di una singola parola.

D’altronde una buona proprietà di linguaggio, una volta acquisita, basta tenerla
allenata. La vita, al contrario, non ha obbligatoriamente un’andatura progressiva;
spesso è un continuo ricominciare, un costante rimettersi in discussione.
La vita è fatta di scelte difficili, ridiscutibili o irreversibili. Per fortuna la decisione,
più o meno conscia, di non scegliere non rientra tra quelle irreversibili. Si può
prendere possesso di se stessi, in qualunque momento, in qualsiasi luogo, in
qualunque condizione di salute, in uno stato di benessere o di povertà, con un
percorso articolato o all’improvviso.

Chi ha deciso di iniziare questo progetto fatto di parole, testimonianze e qualche
immagine è certo di aver fatto quantomeno una scelta: non essere indifferente,
combattere per non esserlo mai, scuotere laddove l’indifferenza dilaga, attaccare chi
vuole relegare per sempre l’umanità in questo stato di ignavia, alienazione, delega,
passività e sottomissione.

Ciascuna esistenza appartiene al corpo, al cuore e alla mente che la conducono,
decidendo autonomamente nella propria interezza. Nessuna istituzione, burocrazia,
professore, datore di lavoro, genitore, famiglia, macchina, computer ecc. può
decidere qualcosa al posto dell’individuo, nemmeno la più apparentemente irrilevante
delle questioni.

Questo aperiodico uscirà quando gli pare; inizia come volontà di un singolo
individuo, ma non esclude un suo allargamento; è rivolto a nessuno come a tutti e
tutte allo stesso tempo; non necessita di recintare gli interlocutori dentro categorie
prestabilite, considerando le parole in rivolta una narrazione del possibile alla portata
di ogni spirito che aneli alla libertà e non una mediazione tra “addetti ai lavori” e spettatori; parlerà senza schemi prestabiliti di ciò che ritiene più opportuno: attualità,
storia, cose che non sono mai esistite; sosterrà a spada tratta chi lotta per la libertà e
attaccherà senza compassione chi esercita un qualsiasi potere per negarla; non avrà
rubriche ad argomento (es. politica, cultura, cronaca, letteratura ecc.) perché
l’esistenza è unica e indivisibile e tutti i suoi aspetti concorrono fra di loro senza
poter essere compartimentati come vorrebbe lo stile di vita capitalista.

La Peste vuole essere un altro strumento per rompere la noia e la rassegnazione
creando un terreno di confronto che possa anche giungere a piccole forme di autoorganizzazione,
senza che il desiderio o la necessità di organizzarsi (in tanti o in
pochi) diventi un vincolo alla spontaneità e creatività dell’agire. Pertanto critiche,
anche aspre, e suggerimenti, anche apparentemente futili, non sono solo accettati, ma
anzi caldeggiati.

La Peste vuole essere l’ennesimo presidio di solidarietà a chi sceglie, nelle maniere
che ritiene più efficaci e congeniali a se stesso o se stessa, di rivoltarsi contro
l’autorità, contro il mondo della merce e del denaro, contro i responsabili della
distruzione e della schiavizzazione del Pianeta e dei suoi abitanti, contro la
tecnologizzazione dei rapporti sociali ed interpersonali, contro la società che fa del
carcere il suo pilastro ed è essa stessa una prigione a cielo aperto.

La Peste vuole essere un altro sprone verso chi nutre un sentimento di riscatto e
ribellione, ma ancora non riesce a praticarlo o trovarne la propria forma.

GENOVA, LUGLIO 2015

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Nuova cine-rassegna! Com’è profondo il mare…

MERCOLEDI’ 22 LUGLIO ore 21UN’ARIDA STAGIONE BIANCA di Euzhan Palcy, 1989 con D. Sutherland, W. Ntshona, S. Sarandon, T. Ntshinga, M. Brando

MERCOLEDI’ 29 LUGLIO ore 21INDOVINA CHI VIENE A CENA? di Stanley Kramer, 1967 con K. Hepburn, S. Tracy, S. Poitier, B. Richards, K. Houghton

MERCOLEDI’ 5 AGOSTO ore 21L’UOMO CAFFELATTE di Melvin Van Peebles, 1970 con G. Cambridge, E. Parsons, H. Caine, E. Moran, D’Urville Martin

COM’E’ PROFONDO IL MARE

Una mini-rassegna di film per riflettere sul maledetto razzismo

“Intanto un mistico, forse un aviatore
inventò la commozione
che li mise d’accordo tutti, i belli con i brutti
con qualche danno per i brutti
che si videro consegnare un pezzo di specchio
così da potersi guardare.
Com’è profondo il mare
… ci stanno uccidendo il mare”.

Attraverso la proiezione di titoli precedenti la caduta dell’apartheid in Sudafrica (1993) si intende affrontare un tema riassunto nella definizione di razzismo.
Già il termine in sé non pare sufficientemente adeguato a coprire il campo di significato che tenta di descrivere, ma che in realtà restringe: “razzismo”, infatti, assumendo ed esaurendo su di sé una modalità relazionale, sembra agevolmente assolvere da responsabilità il contesto e gli operatori nel contesto in cui questa ennesima odiosa forma di autoritarismo si manifesta, mostrandolo come fenomeno malvagio ma comunque estraneo al sentimento generale dell’amata comunità, più o meno come un corpo sano mostra al medico una malattia che ritiene accidentale.

Il più generale termine “fascismo” sembra meglio aderire alla realtà: il razzismo non è che una tra le manifestazioni, fosse pure la più odiosa, di una mentalità fascista banale e quotidiana, che si manifesta nella trita tiritera di mostruosità che solitamente fa seguito al “non sono razzista ma” con cui sentiamo aprire molti discorsi.

La rassegna quindi propone come spunto di partenza una riflessione sull’apartheid, (STA’ DA PARTE), ovvero la discriminazione coatta applicata su larga scala, con tanto di leggi e arbitrio e sbirri e violenze, odio e allegre combriccole di amichetti tipo Ku Klux Klan.
Apparentemente, questo è il razzismo riconosciuto e ufficiale, che detestiamo tutti e da cui prendiamo le distanze perché compie misfatti. A nessuno piace, a posteriori, scoprirsi carnefice. Probabilmente è a questa variante del fascismo a cui ci si riferisce quando si sostiene “non sono razzista, ma”. Nemici dell’apartheid, a chiacchere, lo siamo tutti e non è certo a questo livello che un ragionamento su di noi può emanciparci. Chi non è nemico dell’apartheid è sostenitore del fascismo, su questo non piove.

A quanto diciamo, noi non siamo fascisti e non abbiamo bisogno di ombrello.

Due tra i titoli proposti, Stanley Kramer, Indovina chi viene a cena?, 1967 e Euzhan Palcy, Un’arida stagione bianca, 1989, trattano degli effetti pratici delle leggi di supremazia razziale in vigore negli Stati Uniti fino al 1968/70 e in Sudafrica fino al 1993 e sono pellicole certo in grado di rassicurare un antirazzismo spontaneo di tipo emotivo: le atrocità e l’assurdo sadismo che mostrano non lasciano indifferenti, almeno un minimo sindacale di indignazione ce la suscitano.

Con Melvin Van Peebles, L’uomo caffelatte, 1970, si vuole invece indagare il pregiudizio endemico e pandemico, quello che sottopelle e impercepito scorre nelle vene degli individui. La prospettiva di partenza del regista della blaxploitation si può riassumere appoggiandosi all’aforisma di un certo Albert: la semplice affermazione di una diversità genetica all’interno della specie umana è RAZZISMO.

In effetti, la moderna scientifica religione del DNA e della catena cromosomica difficilmente riesce a liberarsi dall’esperienza e dal contenuto nazista delle sue affermazioni. Esiste un razzismo della scienza vivace e feroce e sarebbe interessante a questo proposito interrogarci sul contributo che la moderna comunità scientifica deve a teorie e pratiche proprie della scienza nazista, con ciò che ne consegue. Non abbiamo però un film al riguardo. Perciò, per la prima volta, una rassegna cinematografica rimanda ad un ottimo testo, ossia Lewontin, Biologia come ideologia, Bollati e Boringhieri, 1993, che potrete leggere tranquillamente a casa.

Come detto, con questa mini rassegna si propone un punto di partenza e si è consci di non esaurire l’ampiezza del rapporto tra autoritarismo e stereotipo che il termine razzismo riassume; termine quantitativamente variabile, che spazia tra il becero e manifesto fascismo di un Salvini qualunque e il romantico paternalismo di chi offre un’elemosina per strada o tramite un’associazione di lucro no profit.

Lungi dall’essere opposti alternativi l’uno all’altro, il salvinucolo o la caritatevoles di turno profittano e speculano un’identica forma di sfruttamento, quello professato da sempre dagli autoritari e dai padroni: semplicemente, per il razzista modello Lega Nord è più confacente e conveniente il razzismo hardcore che usa manganello, reclusione e controllo, mentre al caritatevole conviene lavorare sul modello soft dei buoni sentimenti e, come suggerisce Lucio Dalla in citazione, regalare specchietti.
Detta banalmente, all’imprenditore elettore padano l’uso del bastone, del ricatto e della ritorsione permette di spadroneggiare a piacimento sulla manodopera, mentre alla cooperativa di donpepponesanto è più utile dispensare carote, pur se marce, per garantirsi finanziamenti e profitti, oltre l’aureola omaggio.
L’uno si impegna per recludere i barbari nei C.I.E., l’altro per portargli abiti di seconda mano e sapone a buon mercato. Entrambi fanno affari.

Quello che ci si augura è che questa mini rassegna ci ricordi di guardare all’altro come a un essere umano portatore di storia personale e non come all’appartenente ad una categoria. Decisa da altri, oltretutto. Sarebbe roba.
Buona visione.

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Presentazione e proiezione di “RIBELLI & FUORILEGGE – LA COSPIRAZIONE PARTIGIANA ’43-’45”

ribelli e fuorilegge

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Venerdì 3 luglio al Mainasso! Aperitivo musicale con le “Barche a Torsio”!

aperitivo 3 luglio definitivo

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